venerdì 29 marzo 2013

DIVORZIO ALL'ESTERO

Uno dei Paesi in cui si sta registrando il maggior afflusso di “divorzi all’estero” è la Spagna ove la riforma voluta da Zapatero ha semplificato l’intera disciplina escludendo la separazione come anticamera del divorzio (che in Italia oltre ad essere meramente eventuale può essere chiesto solo dopo tre anni) consentendo che all’udienza possa partecipare anche solo un avvocato in qualità di rappresentante di entrambi coniugi senza che questi debbano necessariamente presenziare personalmente (altra differenza rispetto al nostro ordinamento giuridico ove la presenza personale delle parti è imprescindibile). Per poter depositare il ricorso è necessario che almeno uno dei due coniugi abbia trasferito il proprio domicilio in Spagna mentre per nominare l’avvocato spagnolo due sono le strade: si può procedere per il tramite dell’ambasciata o del consolato oppure optare per la via più semplice del Notaio che autenticherà la relativa procura. Una volta ottenuta la sentenza di divorzio dall’autorità spagnola si potrà procedere con la relativa trascrizione presso il comune di celebrazione delle nozze e questo in base ad un principio previsto dal regolamento comunitario n. 2201/03 in vigore dal 1 marzo 2005 che recita: “le decisioni pronunciate in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento”. Pertanto, ottenuta la trascrizione, il divorzio avrà validità immediata anche in Italia in un tempo stimato di 2-3 mesi contro i tre anni e mezzo che caratterizzano il nostro iter giudiziario.

mercoledì 27 marzo 2013

AVVISO DI ACCERTAMENTO.

Quando il contribuente opera un investimento immobiliare e questo sia frutto di un prestito fatto dal padre, l'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti è illegittimo. Corte di cassazione, Sentenza del 27 Marzo 2013 n. 7707.

L’ambito di applicazione dell’anatocismo: gli usi contrari e quelli bancari

Tribunale di Padova - Sez. 1 Sen. n. 9 del 03 gennaio 2013 La previsione normativa di cui all'art. 1283 c.c., nella parte in cui stabilisce che gli interessi producono interessi solo se scaduti da almeno sei mesi e comunque a condizione che siano richiesti con domanda giudiziale o con convenzione posteriore alla loro maturazione, riveste carattere imperativo, ma fa salvi gli usi contrari che, tuttavia, al fine di poter superare il precetto codicistico, devono avere carattere normativo. In tal senso deve riconoscersi natura negoziale, e non anche normativa, alla clausola che stabilisce la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori bancari, con conseguente nullità della stessa per contrasto con una norma imperativa ed esclusione, nella ricostruzione dei rapporti tra banca e correntista, di qualsiasi capitalizzazione. (L'operazione predetta comporta nella specie il riconoscimento di un credito in favore dei garanti e, dunque, la revoca del decreto ingiuntivo dagli stessi opposto in quanto avente fondamento su un credito dell'istituto bancario di fatto inesistente). Il caso La causa ha ad oggetto l'opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da Tizio nei confronti del debitore principale Caio nonché dei garanti Mevio e Sempronio. Il provvedimento monitorio ingiungeva il pagamento della somma di Euro 199.856,05 quale saldo del conto corrente acceso presso la filiale di Montegalda dell'istituto. Veniva dichiarata l'interruzione della causa limitatamente al rapporto tra la banca opposta e Caio, nel frattempo dichiarato fallito, mentre il giudizio proseguiva con riferimento al rapporto processuale tra la banca ingiungente ed i garanti. Quanto alla ricostruzione dei rapporti accesi dalla società debitrice, alla luce dei dubbi sollevati da parte degli opponenti, il c.t.u. ricostruiva che i rapporti intercorrenti tra le parti erano in realtà due: il primo conto veniva aperto in data 31/7/1995 e dal giugno 2008 cambiava numerazione; il secondo conto era un conto anticipi fatture e vedeva contabilizzate esclusivamente operazioni di addebito per anticipi su fatture e corrispondenti accrediti per chiusura delle anticipazioni stesse. Dette operazioni trovavano corrispondenti movimenti di segno contrario nel c/c base. In sostanza il CTU riteneva che il secondo conto fosse tecnicamente definibile come conto d'appoggio destinato alla gestione della linea di affido per anticipo fatture, con movimentazioni ribaltate sul conto base. La ricostruzione esposta trovava conferma nella documentazione agli atti ed è stata condivisa dalle parti (memorie conclusionali). Ambito di applicazione dell’anatocismo L’art. 1283 c.c. prevede espressamente come “In mancanza di usi contrari , gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.” L'anatocismo è il fenomeno giuridico-contabile rappresentato dal computo sugli interessi scaduti di ulteriori interessi (gli interessi c.d. "composti"). Il problema economico-contabile che sottende la disciplina normativa è collegato al fatto che, dato un determinato tasso nominale di interesse annuo, l'applicazione degli interessi sugli interessi scaduti (la c.d. capitalizzazione) comporta un innalzamento effettivo del tasso nominale, tanto più elevato quanto più ravvicinati tra loro siano i "periodi" di capitalizzazione presi in considerazione. Un tasso nominale del 10% annuo, con la capitalizzazione semestrale comporta il tasso effettivo annuo al 10,25%; con capitalizzazione trimestrale il tasso annuo effettivo è pari al 10,38% (Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in RDC, 1991, 757). La normativa codicistica pone il generale divieto di anatocismo, permettendolo solo a determinate condizioni e con salvezza degli "usi contrari". Il divieto non opera oltre la estinzione del debito principale in quanto il debito d'interessi assume carattere autonomo e perde il connotato dell'accessorietà rispetto all'obbligazione principale: esso diviene, pertanto, un'obbligazione pecuniaria produttiva di interessi, secondo le regole generali sull'adempimento (A. Roma 6.10.1986). L'anatocismo è ricollegato esclusivamente alle obbligazioni pecuniarie. Viene, infatti, generalmente escluso che l'anatocismo possa trovare applicazione nelle obbligazioni risarcitorie che hanno ad oggetto i c.d. debiti di valore (è Cassazione Civile, SS.UU., 11065/1992; Cassazione Civile 17813/2002; Cassazione Civile 7082/1994; Cassazione Civile 5506/1994; Cassazione Civile 5423/1992). Secondo la giurisprudenza di legittimità è possibile applicare l'anatocismo (non operando il relativo divieto) anche sugli interessi cosiddetti compensativi liquidati per un fatto illecito, essendo tale somma una componente del debito complessivo e non un autonomo debito di interessi (è Cassazione Civile, SS.UU., 11065/1992; Cassazione Civile 5423/1992; Cassazione Civile 13508/1991). La convenzione sulla corresponsione degli interessi anatocistici è valida solo se "posteriore" alla scadenza degli interessi stessi. La giurisprudenza ha ritenuto invalida la apposita convenzione che, stipulata successivamente ad un contratto di garanzia e relativa alle obbligazioni derivanti da quel rapporto, prevedeva l'obbligo per la parte debitrice di corrispondere anche gli interessi sugli interessi che fossero maturati in futuro (Cassazione Civile 3805/2004). Gli interessi anatocistici vanno riconosciuti anche per prestazioni previdenziali omesse, con il limite che vanno calcolati solo sulla somma capitale con esclusione della rivalutazione monetaria (Cassazione Civile 11673/2008). La domanda giudiziale. A norma dell'art. 1283 c.c. possono produrre interessi dal giorno della domanda giudiziale solo gli interessi scaduti: ciò significa che gli interessi di un debito certo, ma non liquido, pur maturando nel corso del giudizio promosso per la sua liquidazione, scadono in senso tecnico, cioè divengono esigibili, solo con la pronuncia giudiziale e solo da tale data producono interessi (anatocistici) (Cassazione Civile n. 103/1986). Nella domanda giudiziale, la cui proposizione è necessaria a norma dell'art. 1283 c.c. per la decorrenza degli interessi anatocistici, rientra anche la richiesta formulata dal creditore nel ricorso per decreto ingiuntivo, ancorché il contraddittorio sia posticipato alla pronuncia del decreto, rilevando esclusivamente il momento della domanda al giudice (Cassazione Civile 9311/1990). Nella nozione di "domanda giudiziale" va ricompresa anche qualsiasi ulteriore istanza validamente proposta durante il giudizio di primo grado (Cassazione Civile n. 1964/2002). La domanda di corresponsione degli interessi anatocistici dev'essere esplicitata senza ambiguità e nel caso di equivocità va disattesa (Cassazione Civile n. 5218/2011). Va segnalata, infine, l'analitica soluzione offerta dal Tribunale di Napoli 2.3.1995 secondo cui, nell'ipotesi di interessi maturati da oltre sei mesi, e in presenza di espressa richiesta formulata nell'atto introduttivo del giudizio, risultano dovuti gli interessi anatocistici, sempre nella misura legale, anche su tutti gli interessi convenzionali di mora, via via venuti a scadere, maturati durante l'iter processuale, successivamente alla notifica dell'atto di citazione, dal compimento del semestre successivo alla loro scadenza, eccetto che sugli interessi di mora maturati nel semestre antecedente la data di deposito della sentenza. La dottrina (ORLANDO, Anatocismo giudiziale: una decisione chiara, in GC, 1996, I, 639) ha plaudito a tale indirizzo. Gli usi contrari. Gli usi bancari. La capitalizzazione trimestrale Gli usi che, richiamati dall'art. 1283 c.c., consentono l'anatocismo sono esclusivamente gli usi normativi, in quanto operano sullo stesso piano di tale norma. La giurisprudenza di legittimità aveva sostenuto (fino al marzo 1999, v., però, infra il profondo mutamento intervenuto) che le c.d. norme bancarie uniformi Abi predisposte dalla associazione della categoria bancaria avessero natura normativa e aveva sostenuto che tale qualificazione potesse essere il frutto di una indagine diretta sugli usi normativi da parte della Corte di legittimità che ne poteva, quindi, accertare l'esistenza (essendo usi "normativi") indipendentemente dalle allegazioni delle parti e dalle considerazioni svolte in proposito dai giudici del merito (iura novit curia).

lunedì 18 marzo 2013

EQUITALIA- IL TERMINE PER IMPUGNARE I VIZI FORMALI E' DI 20 GIORNI.

La recente sentenza della Corte di Cassazione del 14 Marzo 2013 n. 6565 ha stabilito un importante principio ovvero che l'opposizione alla cartella esattoriale emessa da Equitalia quando abbia ad oggetto i vizi propri dell'atto, ossia quelli inerenti alla forma della cartella esattoriale o del successivo atto di mora, vizi formali, va proposta entro venti giorni dalla notifica della cartella stessa. I vizi formali sono quelli che riguardano ad. es, la mancanza di elementi essenziali come la relata di notifica, l'indicazione dei termini entro cui impugnare, la firma del dirigente. Dunque anche se sulla cartella siano indicati termini diversi, questi ultimi si riferiscono a contestazioni relative alla sostanza del tributo come l'errore di calcolo, l'importo mentre per i vizi formali il termine è quello di 20 giorni così come stabilito dal codice, art. 617 cod. proc. civ.

giovedì 7 marzo 2013

CASSAZIONE: SI' ALLA CLASS ACTION CONTRO EQUITALIA.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4490 del 22 Febbraio 2013 ha stabilito che è possibile esperire la class action contro la riscossione delle cartelle di pagamento di Equitalia. La Corte ha chiarito che tale azione può essere esperita quando le le motivazioni contestate siano uguali per tutti i contribuenti che iniziano l’azione legale. Chiarisce la Corte: «Più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni». Non vi è nulla che impedisce il cumulo dei ricorsi quando i contribuenti impugnano atti autonomamente impugnabili per vizi propri deducendo a favore identiche questioni. I ricorsi proposti da più contribuenti contro Equitalia sono legittimi "anche se in relazione a distinte cartelle di pagamento, ove abbiano ad oggetto, come si evince nella specie dal contenuto dell’atto introduttivo integralmente riportato in ossequio al principio di autosufficienza, identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa». ..con riduzione delle spese legali e dei costi per i contribuenti.