giovedì 30 maggio 2013

CARTELLA ESATTORIALE- IMPUGNAZIONE.

In materia di impugnazione della cartella esattoriale, la tardività della notificazione della cartella non costituisce vizio proprio di questa, tale da legittimare in via esclusiva il concessionario a contraddire nel relativo giudizio: la legittimazione passiva spetta pertanto all'ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, sul quale, se è fatto destinatario dell'impugnazione, incombe l'onere di chiamare in giudizio l'ente predetto, se non vuole rispondere all'esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d'ufficio l'integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario. Corte di cassazione, sentenza del 29 Maggio 2013 n. 13331.

mercoledì 22 maggio 2013

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e obbligo di repechage

Prima di licenziare il lavoratore per giustificato motivo oggettivo, il datore deve verificare la possibile assegnazione ad altre mansioni (obbligo di repechage) ******** Il cosiddetto obbligo di "repechage" è correlato alla tematica del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Precisiamo, quindi, cosa si intende per licenziamento per giustificato motivo oggettivo: è il licenziamento determinato "da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa" (arricolo 3 della Legge 15 luglio 1966, n. 604). Tali ragioni possono dipendere da: specifiche esigenze aziendali. Ad esempio, una riorganizzazione aziendale che comporti la soppressione del posto occupato da un determinato dipendente. L'ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell'impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'articolo 41 della Costituzione, mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore (Cassazione, sentenze nn. 4670/2001; 13021/2001; 21282/2006; 24235/2010). Riguardo la soppressione delle mansioni assegnate al lavoratore, come motivo oggettivo di licenziamento, la Cassazione ha precisato che non è necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ma è sufficiente che vengano soppresse quelle prevalentemente esercitate dal lavoratore, tali da connotarne fa posizione lavorativa (Cassazione, sentenza del 06 luglio 2012, n. 11402). da situazioni riferibili al lavoratore, ma a lui non addebitabili in termini di inadempimento (ad esempio, la sopravvenuta inidoneità fisica all'esercizio delle mansioni contrattuali - Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 7 agosto 1998, n. 7755). Qualora il lavoratore impugni il licenziamento, il datore di lavoro dovrà dimostrare, ai sensi dell'articolo 5 della Legge n. 604/66, non solo l'effettiva esistenza del giustificato motivo oggettivo, ma anche di non poter ragionevolmente utilizzare il dipendente in altre mansioni equivalenti o, in mancanza, anche in mansioni inferiori (senza che ciò comporti rilevanti modifiche organizzative comportanti ampliamenti di organico o innovazioni strutturali). L'obbligo di verificare la possibile assegnazione ad altre mansioni è denominato "obbligo di repechage". La giurispredenza ritiene che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è legittimo a condizione che non risulti meramente strumentale a un incremento di profitto. Deve piuttosto essere diretto a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti. Il datore di lavoro ha l'onere di dimostrare la concreta riferibilità del licenziamento individuale a iniziative collegate a effettive ragioni di carattere produttivo e organizzativo, nonchè l'impossibilità di utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione (Cassazione, sentenza del 18 aprile 2012, n. 6026). La Cassazione ha precisato che l'onere di dimostrare l'impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, concernendo un fatto negativo, va assolto mediante la dimostrazione di fatti positivi corrispondenti, quali la circostanza che i residui posti di lavoro, riguardanti mansioni equivalenti, fossero al tempo del licenziamento stabilmente occupati da altri lavoratori, ovvero che, dopo il licenziamento e per un congruo periodo, non sia stata effettuata alcuna nuova assunzione nella stessa qualifica dei lavoratori licenziati (in tal senso, Cassazione, sentenza del 18 aprile 2012, n. 6026; Cassazione, sentenza n. 7717/2003). Va anche evidenziato che l'onere di dimostrare l'impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, pur gravando interamente sul datore di lavoro e non potendo essere posto a carico del lavoratore, implica comunque per quest'ultimo un onere di deduzione e allegazione della possibilità di essere adibito ad altre mansioni, sicché ove il lavoratore ometta di prospettare nel ricorso tale possibilità, non insorge per il datore di lavoro l'onere di offrire la prova sopraindicata (Cassazione, sentenza n. 6556/2004; Cassazione, sentenza n. 24235/2010).

LE AUTO GRAVATE DA FERMO AMMINISTRATIVO O GIUDIZIARIO NON PAGANO IL BOLLO

Gli autoveicoli gravati da Fermo Amministrativo o giudiziario non sono soggette al pagamento del bollo regionale,se richiesto si viola la competenza statale in materia di tributi erariali,le Regioni non possono richiedere o imporre l'obbligo del pagamento del bollo auto.Lo sancisce la sentenza 288/2012 della Corte Costituzionale,che ha dichiarato illegittimo l'art. 10 della Legge Regione "Marche" datata 28 -12-2011 n° 28 , che aveva escluso, con decorrenza dall'anno di imposta 2012, l'esenzione dall'obbligo di pagamento della tassa automobilistica regionale per i beni mobili registrati sottoposti a fermo amministrativo o giudiziario. Questo onere è un gettito che va alle Regioni, ma che resta di esclusiva competenza statale, con la conseguenza che devono essere rispettati i criteri fissati dal legislatore nell'esclusione delle esenzioni. In sostanza le Regioni non possono richiedere il pagamento della tassa automobilistica se questa va a riferirsi ad un autoveicolo su cui grava un Fermo Amministrativo. La tassa è dovuta di nuovo dal momento in cui il gravame viene pagato e la nota di liberatoria viene trascritta al P.R.A ( pubblico registro automobilistico )

venerdì 17 maggio 2013

“ABOGADOS”, L’ANTITRUST BOCCIA I PALETTI DEGLI ORDINI: LIMITANO LA CONCORRENZA

L’Antitrust dà ragione agli “abogados”. Gli ordini di Civitavecchia, Latina, Tempio Pausania, Tivoli e Velletri sono stati sanzionati per aver limitato la concorrenza introducendo “requisiti generali ed astratti, non previsti né richiesti dalla normativa nazionale e comunitaria” per l’iscrizione dei legali alla sezione speciale degli “avvocati stabiliti”. Così l’Autorità Antitrust, concludendo una istruttoria avviata il 14 dicembre 2010, ha diffidato gli Ordini dal porre in essere in futuro comportamenti analoghi e li ha sanzionati con una multa “simbolica” di 1.000 euro ciascuno. Gli Ordini hanno revocato le determinazioni contestate. Le limitazioni censurate I Consigli degli Ordini degli Avvocati di Velletri, Civitavecchia, Latina e Tivoli avevano, infatti, introdotto, come condizioni per l’iscrizione alla sezione Speciale: il superamento di una prova “attitudinale” sul diritto italiano e di un colloquio nella lingua del paese comunitario di provenienza. Inoltre, gli aspiranti legali dovevano provare di avere effettivamente esercitato professione all’estero per almeno un anno (nel caso di Civitavecchia, la prova doveva essere fornita anche attraverso dichiarazione dei redditi relative al periodo di permanenza all’estero). Mentre il Consiglio dell'Ordine di Tempio Pausania, aveva addirittura previsto una "tassa" una tantum di 1.500 euro e la previsione di un colloquio nella lingua del paese di provenienza (l’importo serviva appunto a coprire le spese dell’interprete). Comportamento scorretto Dunque, osserva l’Antitrust, diversamente da quanto previsto dalla normativa nazionale (legge 96/2001 in attuazione della direttiva 98/5/CE), che richiede ai fini dell’iscrizione nella Sezione speciale la sola attestazione dell’avvenuta iscrizione presso l’organizzazione professionale del paese di provenienza, i COA “hanno, con modalità differenti, subordinato l’iscrizione alla sezione speciale alla necessaria “prova”, da parte degli istanti, dell’effettivo svolgimento di attività professionale nel paese di provenienza”. Giurisprudenza univoca Anche la giurisprudenza comunitaria e nazionale sono concordi sul punto e sottolineano con chiarezza che l’iscrizione debba essere subordinata “esclusivamente” alla produzione della documentazione dell’iscrizione presso la corrispondente Autorità di un altro Stato membro e che, pertanto, deve ritenersi illegittimo “ogni ostacolo frapposto, al di fuori delle previsioni della normativa comunitaria, al riconoscimento, nello Stato [ospitante], del titolo professionale ottenuto dal soggetto nello Stato [di origine]” (Cassazione a Sezioni unite n. 28340/2011). Si salvano Roma e Milano Con la stessa delibera, approvata il 23 aprile 2013, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha invece stabilito che i Consigli degli Ordini di Chieti, Matera, Modena, Milano, Roma, Sassari e Taranto non hanno violato la normativa a tutela della concorrenza in quanto si sono limitati ad effettuare verifiche mirate al controllo di posizioni individuali in casi isolati e specifici. Possibile il ricorso al Tar Contro il provvedimento dell’Authority può essere presentato ricorso al Tar del Lazio entro sessanta giorni. E non si è fatta attendere la reazione dell’Anai che ha espresso «piena adesione al comportamento degli Ordini», chiedendo di impugnare il provvedimento « anche per contrasto con il dettato Costituzionale che impone nel nostro paese l'esame di Stato». ANAI: Antitrust, da impugnare la sanzione agli ordini sugli abogados Abogados con vecchia formula fino al 31 ottobre 2013 Dal 2011, con l’entrata in vigore della ley 34/2006, anche in Spagna sono cambiate le regole per l’accesso alla professione, ed è diventato necessario affrontare un periodo di formazione professionale specializzata e superare, come nel resto d’Europa, un esame. Tuttavia, per via del regime transitorio, fino al 2013, coloro che hanno conseguito la laurea prima del 31 ottobre 2011, purché facciano richiesta di iscrizione all’Albo entro il 31 ottobre 2013, potranno comunque beneficiare del vecchio regime.

giovedì 16 maggio 2013

SEGUE POST PRECEDENTE. Leggi il testo della sentenza.

Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Catania, confermava la pronuncia di primo grado (intervenuta il 14/6/2005), con la quale era stata pronunciata la separazione personale tra S.M. e F.M. con addebito a carico della S. ed era stato disposto l'affidamento dei figli minori A. e K. al padre, unitamente all'assegnazione della casa coniugale ed, infine, imposto l'obbligo per la madre di versare a titolo di contributo nel mantenimento dei minori la somma di Euro 250 mensili. A sostegno della decisione di secondo grado per quel che ancora interessa, sull'appello proposto dalla S., veniva affermato: a) sull'addebito, che la pronuncia era fondata sull'allontanamento dalla casa coniugale realizzato dalla S. unitamente ai figli minori, protrattosi per alcuni mesi senza dare notizie al coniuge e facendo perdere le tracce di sé, tanto che l'attuazione del provvedimento di affidamento disposto nel corso del giudizio di primo grado dal giudice istruttore, all'esito di consulenza tecnica d'ufficio (28/10/2003), poteva essere attuato soltanto molti mesi dopo (6/5/2004). In particolare, la Corte d'Appello aveva evidenziato che la S. aveva ammesso di non aver comunicato al marito l'intenzione di allontanarsi definitivamente e di avere approfittato delle vacanze estive per lasciare la propria casa con i figli senza dare notizie se non dopo alcuni mesi. Veniva inoltre precisato che era stato depositato dalla stessa ricorso per separazione in data (omissis) , notificato però soltanto il (omissis). Si aggiungeva, infine, che non risultava provata una giusta causa del predetto allontanamento unilaterale, attuato senza il consenso ed all'insaputa del coniuge; b) sull'affidamento, che la consulenza tecnica d'ufficio integrativa di quella già espletata in primo grado aveva univocamente concluso per la conferma della custodia paterna, fermo l'affidamento condiviso ad entrambi, con ampia ed esauriente motivazione cui la Corte si riportava; c) sulle istanze istruttorie proposte dalla S., (relative alla convivenza del M. more uxorio con un'altra donna nella casa coniugale unitamente ai minori, nonché alla circostanza di aver preventivamente informato il marito il ... di non volere tornare a casa, con indicazione del luogo ove si trovavano i bambini) formulate in secondo grado ed, infine, sulla richiesta di ascolto della minore A. , che esse erano inammissibili per tardività ex art. 345 cod. proc. civ.. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso, affidato ad undici motivi la S. Ha resistito con controricorso il M. Nel primo e secondo motivo di ricorso è stata censurata sia sotto il profilo della violazione della norma processuale che sotto il profilo del vizio di motivazione la mancata ammissione dell'interrogatorio formale del M. e delle prove testimoniali, in quanto ritenuti nella sentenza impugnata tardivamente proposti. Al riguardo la parte ricorrente ha osservato che si trattava di circostanze sopraggiunte nel giugno 2004 dopo che erano maturate le decadenze del primo grado di giudizio, con conseguente unica possibilità di dedurle con l'atto di appello. Per la parte relativa alla violazione di legge il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto: "In applicazione dell'art. 345, comma terzo, cod. proc. civ., sono ammissibili in appello la prova testimoniale e L'interrogatorio formale edotti su capi relativi a circostanze indicate come verificatesi nel corso del giudizio di primo grado e dopo che siano spirati i termini per poter richiedere l'ammissione di questi stessi mezzi istruttori?”. Nel terzo motivo viene censurata sotto il profilo della violazione di legge l'omessa audizione della minore A..M. , la quale alla data dell'ultima udienza tenutasi davanti alla Corte d'Appello aveva compiuto 14 anni. Al riguardo ha osservato la parte ricorrente che l'art. 155 sexies cod. civ. ai sensi del quale il giudice è tenuto a disporre l'audizione del minore che abbia compiuto gli anni 12 avrebbe imposto l'accoglimento di tale istanza. Il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto: "Vero che, nel caso in cui sia chiamato ad assumere i provvedimenti previsti dall'art. 155 cod. civ., il giudice d'appello sia tenuto a pena di nullità della sentenza, all'audizione del minore, che abbia compiuto gli anni 12, cosi come previsto dall'art. 155 sexies cod. civ., in ogni caso e soprattutto se a tanto non si è provveduto nel giudizio di primo grado?". Nel quarto motivo viene denunciata la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per essere la sentenza impugnata, nell'esame della domanda di addebito, incorsa nel vizio di ultra petizione nella parte in cui, ignorando la circostanza accertata dal Tribunale di Catania e non formante oggetto di censura in appello, relativa alla preesistenza di una condizione di separazione di fatto tra i coniugi M. - S., ha ritenuto non fornita dalla S. la prova che il rapporto era già compromesso da tempo. Il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto: "Vero che l'applicazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato previsto dall'art. 112 cod. proc. civ., si applica nel giudizio d'appello, nel senso che è fatto diverto al giudice di porre a fondamento della decisione un fatto, dedotto come vero nella sentenza di primo grado, confermato dall'appellante e confermato implicitamente dall'appellato che chieda la conferma in ogni sua parte della sentenza impugnata?". Nel quinto e sesto motivo la statuizione sull'addebito viene censurata sotto il profilo del vizio di motivazione per aver trascurato la dedotta e non contestata crisi coniugale in atto e la conseguente condizione di separazione di fatto tra le parti protrattasi per diversi anni, senza dare rilevo al fatto che l'allontanamento dalla casa coniugale era stato determinato da questa consolidata situazione e dopo aver depositato il ricorso per separazione; Nel settimo motivo la statuizione sull'addebito viene censurata sotto il profilo della violazione di legge, in quanto assunta in contrasto con i criteri stabiliti nell'art. 146 cod. civ.. Al riguardo, la ricorrente ha osservato che l'allontanamento dalla casa coniugale era intervenuto solo dopo il deposito del ricorso per separazione e che i comportamenti ad essa attribuiti successivamente, quali il ritardo nell'esecuzione del provvedimento di affidamento dei figli minori al padre e la comunicazione successiva all'allontanamento della volontà separativa non potevano costituire violazioni dei doveri familiari integranti l'accoglimento della domanda di addebito, proprio perché successivi al deposito di essa. Il motivo si chiude con i seguenti quesiti di diritto: "Vero che, una volta depositata la domanda per la separazione, il successivo allontanamento dalla residenza coniugale, anche se non accompagnato da ulteriori gravi motivi, non costituisce violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio, ai fini della determinazione dell'addebito, previsto dall'art. 151, comma secondo, cod. civ.". "Vero che il coniuge, che ha già depositato domanda di separazione, non realizza violazione dei doveri del matrimonio che giustificano l'addebito della separazione se comunica intempestivamente il proprio nuovo indirizzo?". "Vero che non realizza violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio chi, depositando domanda di separazione, allontanandosi dalla casa coniugale in compagnia dei figli minori, constatato il disaccordo con il coniuge sull'individuazione della residenza familiare, attende la decisione del Tribunale sulle istanze poste in ordine alla casa coniugale ed all'affidamento dei figli, tenendo con sé gli stessi?". Nell'ottavo motivo viene censurata, sotto il profilo del vizio di motivazione, la statuizione relativa all’affidamento dei minori al padre. Al riguardo, la parte ricorrente lamenta che la decisione assunta dalla Corte d'Appello si fonda sull'errata premessa logica della sostanziale coincidenza di valutazione tra il consulente d'ufficio e quella di parte, invece del tutto diverse, e ritiene erroneamente che i minori abbiano raggiunto un adeguato equilibrio fisio psicologico non riscontrabile neanche alla luce della consulenza tecnica d'ufficio. Nel nono motivo viene censurata sotto il profilo del vizio di motivazione l'omessa valutazione della domanda di assegnazione della casa coniugale (nell'ipotesi di conferma delle statuizioni relative all'affidamento dei figli minori) nei giorni di visita dei minori in Sicilia. Nel decimo ed undicesimo motivo viene censurata sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione la statuizione relativa all'obbligo di versamento di un contributo per il mantenimento dei minori quantificato in Euro 250 mensili, stabilito senza tenere conto della incidenza della sproporzione tra i redditi dei due coniugi e l'utilizzo esclusivo da parte del marito della casa coniugale. Il motivo contenente la censura di violazione di legge si chiude con il seguente quesito: "Vero che nell'individuazione del soggetto obbligato al pagamento dell'assegno di mantenimento a favore dei figli e nella determinazione del detto assegno, il giudice applica il principio di partecipazione di ciascuno dei coniugi, proporzionale al loro reddito, considerando le risorse economiche di entrambi i coniugi e tiene conto dell'assegnazione della casa coniugale, considerato il titolo di proprietà vantato da ciascuno dei coniugi relativamente all'appartamento che costituisce la casa coniugale?". Devono essere in primo luogo affrontate le eccezioni d'inammissibilità del ricorso formulate nel controricorso. In primo luogo viene rilevato che l'atto di ricorso fotoriprodotto in copia e trasmesso a mezzo fax non reca in calce né in altro punto la sottoscrizione autografa né di colui che dovrebbe essere il difensore trasmittente né del ricevente, risultando tale atto redatto su carta intestata ad altro studio legale. L'art. 1, primo comma, lettera b) della L. n. 183 del 1993 impone che l'atto trasmesso rechi la sottoscrizione leggibile dell'avvocato estensore e trasmittente e che tali elementi risultino dalla copia foto riprodotta. In secondo luogo il difetto di sottoscrizione dell'atto da parte del difensore, costituisce un requisito richiesto espressamente dall'art. 365 cod. proc. civ., che deve sussistere sia nell'atto depositato che nella copia notificata, non essendo sufficiente la firma meccanografica. La mancanza della sottoscrizione rende assolutamente incerta la paternità dell'atto ed il ricorso conseguentemente inammissibile. In terzo luogo, la procura risulta rilasciata su foglio separato spillato al ricorso privo di numerazione in ordine successivo con conseguente violazione dell'art. 365 cod. proc. civ., non essendo possibile riferire la procura all'atto di ricorso né ritenerla valida non recando la forma della scrittura privata o dell'atto pubblico notarile. In ordine alla prima eccezione deve rilevarsi che il ricorso teletrasmesso via fax reca la sottoscrizione del trasmittente nell'ultima pagina, nonché quella avente il fine di certificare l'autenticità della sottoscrizione della parte conferente la procura speciale alle liti per il procedimento di cassazione. Tale sottoscrizione risulta del tutto leggibile. Peraltro secondo l'orientamento più recente di questa Corte “Con riferimento alla disciplina relativa all'utilizzazione dei mezzi di telecomunicazione tra avvocati in ordine alla trasmissione di atti processuali, la leggibilità della sottoscrizione del mittente è prescritta dall'art. 1 della legge 7 giugno 1993, n. 183, non ai fini dell'esistenza o della validità dell'atto, ma della possibilità di considerare la copia ricevuta come conforme alL'originale inviato con mezzo telematico, con la conseguenza che la mancanza di tale requisito ha rilievo solo nel caso in cui detta conformità venga posta in discussione. (Cass. 5883 del 2009) Inoltre, l'atto reca tutti i requisiti di validità richiesti dall'art. 1 della L. n. 183 del 1993 secondo quanto affermato dal costante orientamento di questa Corte: Per effetto dell'art. 1, primo comma, della legge 7 giugno 1993 n.183 - che disciplina l'utilizzazione dei mezzi di telecomunicazione tra avvocati della stessa parte per la trasmissione degli atti relativi a provvedimenti giurisdizionali - nella presunzione, iuris et de iure, stabilita dall'art. 2719 cod. civ., prima parte, di conformità all'originale della fotocopia di un atto, se attestata da pubblico ufficiale, rientrano gli atti del processo trasmessi a distanza da un avvocato all'altro, se: a) L'avvocato trasmittente attesti la conformità della copia all'originale; b) sia l'avvocato trasmittente sia quello ricevente siano, congiuntamente o disgiuntamente, difensori della parte; C) l'avvocato trasmittente abbia sottoscritto in modo leggibile l'atto trasmesso e L'avvocato la fotocopia ricevuta e, se con lo stesso è conferita la procura alle liti, anche la sottoscrizione della parte sia leggibile. (Cass.9323 del 2004). Com'è agevole riscontrare dall'esame dell'atto, in calce ad esso vi è la dichiarazione di conformità sottoscritta dall'avvocato trasmittente e da quello ricevente entrambi difensori della parte ed infine la procura reca la firma del tutto leggibile della parte conferente seguita dalla sottoscrizione del difensore trasmittente. Nessuna censura ex art. 2719 cod. civ. è stata mossa all'atto teletrasmesso. Ciò, in conclusione, determina il rigetto della prima eccezione d'inammissibilità. Ugualmente da respingere è la seconda eccezione relativa all'insufficienza della sottoscrizione "meccanografica" nella copia notificata. Al riguardo, poiché, come già osservato, nessun rilievo di difformità all'originale è stato formulato dalla parte controricorrente, nessun difetto d'idoneità può essere rivolto alla sottoscrizione dell'atto teletrasmesso, non essendo, peraltro, necessario, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte che la sottoscrizione dell'atto da parte del difensore e l'autenticazione della sottoscrizione della parte da parte del legale risultino anche dalla copia notificata. (Cass. 16215 del 2006; 636 del 2007; 5932 del 2010). Infine, la procura speciale in calce al ricorso non può ritenersi apposta su foglio separato al ricorso, attese le modalità di trasmissione dell'atto ma come componente dell'unico atto teletrasmesso. Peraltro, costituisce orientamento del tutto fermo di questa Corte quello secondo il quale anche la procura alle liti rilasciata su atto separato, ma materialmente legato al ricorso, ancorché priva di data, abbia piena validità, potendosi il requisito dell'anteriorità, desumersi dalla copia notificata del ricorso stesso. (Cass. 29785 del 2008). Passando all'esame del ricorso principale, i primi due motivi sono manifestamente infondati. La sentenza impugnata rispetto alle istanze istruttorie formulate dalla ricorrente, non si è limitata a censurarne l'intempestività ma le ha ritenute non necessarie sulla base del consolidato principio secondo il quale l'assegnazione della casa coniugale non può che essere disposta in favore del genitore affidatario dei figli minori. Da tale premessa consegue la corretta valutazione d'irrilevanza delle prove per testi e per interrogatorio formale articolate dalla parte ricorrente anche alla luce della sentenza della Corte Cost. n. 308 del 2008 che ha fornito un'interpretazione costituzionalmente obbligata dell'art. 155 quater cod. civ. (introdotto dall'art. 1, comma secondo della l. n. 54 del 2006) nella parte in cui stabilisce che il diritto al godimento della casa familiare cessa nel caso che l'assegnatario conviva more uxorio nella casa familiare. Secondo questa pronuncia, l'assegnazione della casa coniugale non viene meno di diritto al verificarsi degli eventi indicati dalla norma (instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), rimanendo comunque subordinata ad un giudizio di conformità all'interesse del minore. Ne consegue l'inscindibilità dei provvedimenti di affidamento e assegnazione della casa coniugale e l'obbligata adozione come esclusivo criterio risolutore del conflitto dell'interesse del minore. Nella specie non risulta che la circostanza della convivenza more uxorio sia stata posta in correlazione con la lesione dell'interesse dei figli minori conviventi, mentre la decisione relativa all'affidamento è risultata centrata su un'ampia indagine tecnica relativa proprio alla valutazione di tale interesse. Il terzo motivo deve ritenersi inammissibile per difetto sopravvenuto d'interesse essendo la figlia A. divenuta maggiorenne nelle more del giudizio e non risultando la richiesta di audizione formulata anche nei confronti dell'altro figlio ancora minore di età. Il principio trova puntuale riscontro negli orientamenti di questa Corte: "Quando, nelle more del giudizio di legittimità avente ad oggetto l'affidamento di figlio minore ad uno degli ex coniugi a seguito di cessazione degli effetti civili del matrimonio, sopravvenga la maggiore età del figlio, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente all'impugnazione”. (Cass. 5383 del 2006). Il quarto, quinto e sesto motivo sono manifestamente infondati. La situazione, preesistente all'allontanamento dalla casa coniugale, unilateralmente deciso dalla ricorrente, di "separazione di fatto" non risulta affatto accertata con valore di giudicato nel primo grado di giudizio, non essendo stata mai in discussione la coabitazione tra i coniugi prima del dedotto allontanamento volontario della ricorrente. La dichiarazione di addebito, in entrambi i gradi di giudizio si è fondata sulla gravità di quest'ultimo comportamento, in quanto non solo realizzato all'insaputa del coniuge ma anche sottraendo all'altro genitore ogni contatto per un protratto periodo di tempo con i figli minori. A tale riguardo, la sentenza impugnata ha esaurientemente ed adeguatamente motivato in ordine alla mancanza della prova di cause giustificative pregresse di questo censurabile comportamento successivo. Al riguardo, si deve rilevare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l'allontanamento, nella specie con i figli minori, al fine di escludere l'addebito, deve essere fondato su una giusta causa, il cui onere probatorio grava su chi realizza questa grave violazione dei doveri coniugali. Deve, infatti, osservarsi che "il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che si provi - e l'onere incombe a chi ha posto in essere l'abbandono - che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto. (Cass. 17056 del 2007; 12373 del 2005). Peraltro nell'ipotesi in cui l'allontanamento riguarda anche i figli minori la prova deve essere molto più rigorosa e la situazione d'intollerabilità, anche ad essi riferita, deve essere specificamente ed adeguatamente rappresentata e dimostrata. Il settimo motivo è manifestamente infondato. Il mero deposito del ricorso separativo non è idoneo a giustificare l'allontanamento unilaterale e non temporaneo dalla casa coniugale unitamente ai figli minori, dal momento che il cambiamento della residenza familiare legittimo solo quando sia frutto di una scelta condivisa, dovendo diversamente essere ritenuto una grave violazione dei doveri coniugali e familiari. Al riguardo, deve osservarsi che l'allontanamento dei minori dall'altro genitore si è protratto per un non modesto periodo di tempo ed è stato realizzato anche in violazione dei provvedimenti assunti nel corso del procedimento separativo. Tale complessiva condotta, caratterizzata dall'ingiustificata imposizione unilaterale di una condizione di lontananza dell'altro genitore dai figli minori, iniziata prima della notifica del ricorso separativo e protrattasi anche dopo tale adempimento processuale è ampiamente valutabile ai fini dell'addebito, anche dopo l'effettiva instaurazione del contraddittorio in quanto, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, anche il comportamento tenuto dal coniuge successivamente al venir meno della convivenza, ma in tempi immediatamente prossimi a detta cessazione può rilevare ai fini della dichiarazione di addebito della separazione allorché costituisca una conferma del passato e concorra ad illuminare sulla condotta pregressa.(Cass. 17710 del 2005). L'ottavo motivo è manifestamente infondato dal momento che la decisione sull'affidamento dei minori, adeguatamente motivata dalla Corte d'Appello si fonda su una motivata adesione alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio e non, come indica la parte ricorrente, esclusivamente o prevalentemente sulla dedotta adesione della consulenza di parte con la consulenza d'ufficio. Il nono motivo è manifestamente infondato perché l'assegnazione della casa coniugale è ancorata alla custodia dei figli minori in affido condiviso o all'affidamento esclusivo, ad uno di essi ma non all'esercizio del diritto di visita, come viene adombrato nell'illustrazione del motivo. Il decimo ed undicesimo motivo sono anch'essi manifestamente infondati, dal momento che l'obbligo di contribuire secondo i propri redditi è posto a carico di entrambi i genitori e da tale obbligo non ci si può sottrarre soltanto perché titolari di una capacità di reddito inferiore a quella dell'altro genitore. Peraltro, occorre sottolineare che la modesta entità del contributo è stata determinata dal giudice del merito, con motivazione adeguata ed esauriente, proprio in virtù dell'adozione del criterio della comparazione e della proporzionalità tra i redditi dei due genitori. In conclusione il ricorso deve essere respinto. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a pagare in favore della parte resistente le spese del presente procedimento liquidate in Euro 3000 per compensi ed Euro 200 per esborsi oltre accessori di legge.

Cassazione: separazione con addebito e allontanamento ingiustificato dalla casa coniugale

La questione su cui è intervenuta la Corte di cassazione con la nota sentenza n. 10719 dell' 8 maggio 2013 riguarda la correlazione tra “l'abbandono” della casa coniugale da parte di uno dei coniugi e la pronuncia di addebito della separazione per inadempimento dei doveri coniugali, questione sulla quale la Suprema Corte si è pronunciata diverse volte anche in passato, individuando caso per caso le eventuali “scriminanti”. Nel caso in esame, la moglie si allontanava dalla casa coniugale, portando con sé i figli, senza avvertire il marito e senza comunicargli il nuovo indirizzo: di fatto faceva perdere le proprie tracce, e non dava notizie di sé per diversi mesi, rendendo impossibile per il padre qualunque visita o contatto con i figli; tale situazione si protraeva anche successivamente al giudizio di separazione, tant'è che l'attuazione del provvedimento di affidamento dei figli al padre disposto nel corso del giudizio di primo grado dal giudice istruttore poteva essere attuato solo molti mesi dopo. Sia il Tribunale che la Corte di Appello si pronunciavano nel senso della separazione con addebito alla moglie, con affidamento dei figli al padre: avverso tale pronuncia la donna ricorreva in Cassazione. Secondo la ricostruzione della signora, il suo allontanamento dalla casa coniugale era assolutamente legittimo e giustificato da una serie di fattori: in primo luogo, i giudici non avevano tenuto conto della preesistente condizione di separazione di fatto tra i coniugi, che ormai si stava protraendo da diverso tempo; inoltre, l'allontanamento dalla casa coniugale era stato successivo al deposito del ricorso per separazione giudiziale (ma prima della sua notifica al marito) e pertanto tale circostanza costituiva già di per sé un buon motivo per escludere l'addebito. In definitiva, secondo la ricorrente, il deposito del ricorso per separazione e la non contestata crisi coniugale in essere già da molti anni giustificano comunque la sua decisione unilaterale di allontanarsi dal marito, e pertanto i comportamenti ad essa attribuiti, anche quelli successivi all' abbandono del tetto coniugale, quali il ritardo nell'esecuzione del provvedimento di affidamento dei figli al padre e la comunicazione, successiva all'allontanamento, della volontà di separarsi, non possono costituire violazione dei doveri familiari per l'accoglimento della domanda di addebito. Sul punto la Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso della donna, è molto chiara nel sottolineare i seguenti punti: 1. In primo luogo, la preesistente separazione di fatto addotta dalla ricorrente non risulta essere stata in alcun modo provata, non essendo peraltro mai stata messa in discussione la coabitazione tra i coniugi prima dell'allontanamento della ricorrente; la Corte, al riguardo, precisa che l'addebito è da ricollegarsi direttamente alla gravità del comportamento tenuto dalla ricorrente, che non solo si è allontanata all'insaputa del marito, ma ha sottratto all'altro genitore ogni contatto con i figli minori per molto tempo. Del resto, ricorda la Corte, in caso di allontanamento dalla casa coniugale da parte di uno dei coniugi, perchè si possa escludere l'addebito è necessario che vi sia una giusta causa, che ricorre ad es: per fatti imputabili al comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando si è già cristallizzata una situazione di intollerabilità della convivenza, che oggettivamente renda impossibile per i coniugi continuare a coabitare (Cass. Civ. 17056/2007) Di tale circostanza però deve essere data specifica e rigorosa prova, tanto più se vi sono dei figli minori, prova che nel caso di specie è mancata. 2. In secondo luogo, il mero deposito del ricorso per separazione non può giustificare l'allontanamento unilaterale e non temporaneo dalla casa coniugale unitamente ai figli minori: tale condotta, peraltro, si è protratta per un considerevole periodo di tempo anche successivamente all'instaurarsi del contraddittorio e in violazione dei provvedimenti assunti nel corso del procedimento separativo, e ciò non può non essere valutabile ai fini della pronuncia di addebito. Infatti, coma affermato dalla stessa Corte in altre occasioni, il comportamento tenuto dal coniuge successivamente al venir meno della convivenza, ma in tempi immediatamente prossimi a detta cessazione, può rilevare ai fini della dichiarazione di addebito allorchè costituisca una conferma del passato e concorra ad illuminare la condotta pregressa (Cass. Civ. 17710/2005).

giovedì 9 maggio 2013

IL TAR DEL LAZIO SCHIANTA EQUITALIA: LE CARTELLE SONO TUTTE NULLE!

domenica 5 maggio 2013 «Le cartelle di Equitalia e gli avvisi delle Agenzie delle Entrate sono tutti nulli. Ciò deriva da una importante sentenza del TAR Lazio. Il Tribunale amministrativo ha stabilito che, all’interno delle Agenzie delle Entrate, gran parte del personale che firma gli accertamenti non ha i requisiti di “dirigente”. La conseguenza è che tali atti sono nulli e, con essi, anche le successive cartelle Equitalia.» «La questione è stata affrontata anche dalla stessa Corte dei Conti e dal Consiglio di Stato. Quest’ultimo sostiene, tra le righe, che Equitalia S.p.a. agendo in qualità di agente della riscossione, in quanto concessionario di un pubblico servizio, deve utilizzare, per tutte le incombenze, personale che opera in regime di diritto pubblico, ossia Dirigenti della Pubblica Amministrazione.» «Così, i restanti posti sono stati coperti con incarichi fiduciari, conferiti in barba alla legge secondo logiche clientelari. A coprire carichi dirigenziali sono stati chiamati semplici impiegati, che non avevano neanche la qualifica di funzionari e neanche quelli che sono stati retrocessi alla nona qualifica funzionale (i quadri). Così, a comandare sui dirigenti vengono chiamati dei semplici impiegati.» (Sintesi della sentenza Tar Lazio n. 6884) Ed ora veniamo ai commenti di esperti e operatori del settore. 767 funzionari di Equitalia su 1146 sarebbero “abusivi”, quindi i loro atti nulli. Ma non è dato sapere chi siano. Motivi di sicurezza. Una delicatezza che non è stata usata per gli italiani e i loro conti correnti, ormai obbligatori per tutti per questioni di tracciabilità del denaro. Si, il nostro!In nome del principio di trasparenza, voluto dalla stessa Costituzione Eq uitalia sarà costretta a pubblicare i nomi dei funzionari coinvolti nel procedimento di riscossione del tributo, a differenza di quanto dichiarato precedentemente dall’ente che motivava la sua scelta con motivi di sicurezza. Il caso nasce dopo la richiesta, da parte di un contribuente, di conoscere il nome del funzionario che si occupava della sua pratica, per poter meglio valutare la sua strategia di difesa ed è in parallelo con quello di 767 dirigenti dello stesso ente la cui nomina è avvenuta attraverso procedure non corrette e quindi è stata decretata come nulla. La particolarità della questione nasce proprio dal fatto che questo piccolo esercito di funzionari è entrato a far parte della “famiglia” di Equitalia (una sorta di famiglia Addams ma completamente antipatica), senza attraversare l’iter classico per l’assunzione del personale, ovvero niente concorso nè graduatorie pre esistenti. Nessun controllo, nessuna documentazione. Una ingiustizia per il cittadino il quale deve presentare, da adesso, una serie di scartoffie firmate anche da genitori e parenti in caso di regali particolarmente costosi oppure di prestiti che, in periodo di crisi, siamo sempre più spesso a chiedere, a tutto discapito di una “normale” dignità umana che diventa sempre più rara. (trendonline) Sarebbero nulli tutti gli atti emessi dalla Agenzia delle Entrate e, di conseguenza, le cartelle esattoriali di Equitalia formate sulla base di ruoli delle Agenzie delle Entrate: la ragione è perché il Fisco ha fatto fino ad oggi firmare i propri atti a personale dipendente privo della qualifica di “dirigente”. Il terremoto è stato sollevato dalla dottoressa Maria Rosaria Randaccio ex Intendente di Finanza a Cagliari (poi direttrice della Commissione Tributaria, in ultimo in forza al Tesoro e all’assessorato regionale al Turismo), la quale avverte: le cartelle di Equitalia e gli avvisi delle Agenzie delle Entrate sono tutti nulli. Ciò deriva da una importante sentenza del TAR Lazio [1]. Il Tribunale amministrativo ha stabilito che, all’interno delle Agenzie delle Entrate, gran parte del personale che firma gli accertamenti non ha i requisiti di “dirigente”. La conseguenza è che tali atti sono nulli e, con essi, anche le successive cartelle Equitalia. La Randaccio ha da poco presentato un esposto alla Procura Generale della Corte dei Conti e alla Avvocatura Generale e invita tutti i cittadini a ricorrere contro questo vizio di nullità. In pratica: Secondo l’esposto presentato dalla dott.ssa Randaccio, tutti gli accertamenti fatti da Equitalia ma che provengono da ruoli trasmessi dalle Agenzie delle Entrate, in quanto firmati da personale privo della qualifica di dirigente, sono nulli all’origine, così come sono nulle tutte le attività di Equitalia. fonte : IL NORD