martedì 11 giugno 2013

Mutui: il tasso di interesse è usurario anche se la soglia di legge è superata per effetto della mora

La Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 350 del 9.1.2013, ha fissato un importante principio in tema di determinazione dell’usurarietà del tasso d’interesse applicato dagli istituti di credito all’atto della stipula di un contratto di mutuo. Uno degli elementi che contraddistinguono i finanziamenti c.d. onerosi consiste, infatti, nell’obbligo per la beneficiaria di rimborsare il debito assunto, restituendo alla banca mutuante, oltre al capitale, anche una somma per interessi. L’art. 1815, co. 1, c.c., infatti, dispone che “salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante”. Il tasso applicabile deve, però, essere concordato nel rispetto del tetto stabilito trimestralmente dal Ministero del Tesoro, sentiti la Banca d'Italia e l'Ufficio italiano dei cambi. Il limite è fissato attraverso la rilevazione del tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari (art. 2, co. 1, L. 7.3.1996, n. 108). Il superamento della soglia di legge configura un illecito penale, punibile ai sensi dell’art. 644, c.p. e rende nulla la clausola contrattuale che ha previsto il tasso, ex art. 1815, co. 2, c.c., giustificando la non debenza degli interessi concordati. La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha precisato che devono intendersi usurari, ai fini dell’applicazione degli artt. 644, c.p., e 1815, c.c., i tassi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono convenuti, a qualunque titolo, quindi anche se relativi ad interessi moratori. Ne deriva che questi ultimi concorrono, insieme agli altri oneri posti a carico della parte mutuataria, alla determinazione del tasso complessivo da rapportare a quello soglia (cfr., in proposito, anche Cass. civ., 4.4.2003, n. 5324). Per stabile se si configura l’usura, occorre avere riguardo al momento in cui gli interessi derivanti dal mutuo sono stati convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente da quando sia richiesto il loro pagamento (art. 1, co. 1, DL 29.12.2000, n. 394, convertito nella L. 28.2.2001, n. 24, recante l’interpretazione autentica della L. 7.3.1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura; al riguardo, cfr., anche Corte Cost., 25.2.2002, n. 29). In conclusione, le clausole contrattuali che stabiliscano tassi d’interesse ordinari e di mora, la cui somma superi il valore soglia ex art. 2, co. 1, L. 7.3.1996, n. 108, sono nulle, senza inficiare il negozio nella sua interezza. Il beneficiario del finanziamento ha, dunque, diritto ad ottenere la restituzione degli interessi già versati o, quantomeno, di quelli corrisposti in misura superiore al dovuto, rimanendo valido il mutuo contratto. L’art. 1419, co. 3, c.c., statuisce, infatti, che “la nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative”.

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