sabato 27 luglio 2013
I co.co.pro. dopo il D.L. n.76/2013
Sommario: 1. Premessa. 2. Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (cd. co.co.co). 3. Il contratto di collaborazione a progetto (cd. co.co.pro). 3.1 Nozione e finalità dell’istituto. 3.2. La definizione di progetto. 3.3. Il corrispettivo. 4. Le novità apportate dal D.L. n. 76/2013. 4.1. L’estensione anche ai lavoratori a progetto dell’obbligo di convalida delle dimissioni. 4.2…. e della responsabilità solidale negli appalti.
1.Premessa.
Il decreto legge sul lavoro n. 76/2013, dopo le modifiche apportate dalla legge Fornero[1], sottopone a nuovi ritocchi le disposizioni normative che regolano il contratto di collaborazione a progetto introdotto e disciplinato, per l’impiego privato, dagli artt. 61-69 del D.lgs. 276/2003 (cd. riforma Biagi).
Al fine di comprendere appieno le modifiche apportate a tale tipologia di contratto dal decreto lavoro è opportuno, a parere di chi scrive, tracciare brevemente l’excursus normativo che ha condotto all’introduzione nel nostro ordinamento di tale contratto nonché le sue caratteristiche principali.
2.Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (cd. co.co.co.)
Antecedente storico del contratto di lavoro a progetto (cd. co.co.pro) è il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (cd. co.co.co), ovvero quel contratto atipico in cui il collaboratore si impegna a compiere un’opera o un servizio in via continuativa a favore della committente e in coordinamento con quest’ultimo senza che sussista il vincolo di subordinazione[2].
A ben vedere, tale contratto è un contratto di lavoro parasubordinato, intendendosi con questa espressione un contratto di lavoro avente caratteristiche sia del lavoro subordinato sia del lavoro autonomo[3].
La giurisprudenza di legittimità ha precisato che per la configurazione di un rapporto di co.co.co. è necessario che il committente sia titolare di una stabile organizzazione volta alla produzione di beni o di servizi perché solo in relazione a questa si può parlare di prestazione di attività coordinata e continuativa [4].
La mancanza di una definizione codicistica dell’istituto, ha portato sia la dottrina[5] che la giurisprudenza[6] a delinearne i requisiti tipici.
Un primo elemento che caratterizza la prestazione in esame è stato ravvisato nel carattere continuativo e coordinato della collaborazione, precisandosi che per continuità deve intendersi la permanenza nel tempo del vincolo che lega il committente con il collaboratore, mentre per coordinazione la connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell’organizzazione aziendale.
Vi è poi il requisito della personalità della prestazione che ricorre quando l’attività di lavoro risulta prevalente o rispetto a quella svolta da eventuali altri collaboratori dei quali il collaboratore si avvalga o rispetto all’utilizzazione di una struttura di natura materiale.
A seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs 276/03, avvenuta il 24 ottobre 2003, non è più possibile, salvo alcune eccezioni, instaurare rapporti di collaborazione coordinata e continuativa se non sono riconducibili ad uno specifico progetto.
Più in particolare, il contratto di co.co.co, ai sensi della normativa vigente, può essere stipulato solo per i soggetti individuati dalla legge, che sono: i componenti di organi di amministrazione e di controllo delle società e quelli che partecipano a collegi e commissioni; i professionisti esercenti attività per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali; i titolari di pensioni di vecchiaia e i collaboratori coordinati e continuativi che prestano la propria attività a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali[7].
È da precisare, infine, che le collaborazioni coordinate e continuative si distinguono anche dalle prestazioni di lavoro autonomo occasionale, ovvero da quei rapporti di lavoro di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore a 5.000 euro. In quest’ultimo caso, infatti, non rileva la durata del rapporto e si ricade comunque nell'ambito di applicazione delle disposizioni previste per le nuove collaborazioni coordinate e continuative[8].
3. Il contratto di collaborazione a progetto (cd. co.co.pro).
3.1. Nozione e finalità dell’istituto.
Come già anticipato sopra, le collaborazioni a progetto sono entrate nel nostro ordinamento, per quanto concerne l’impiego privato, con il D.lgs. n. 276/2003, a seguito dell’attuazione dell’articolo 4 della legge delega n. 30/2003 (cd. Legge Biagi).
La ratio sottesa all’introduzione di tale tipologia di contratto è da rinvenire nel tentativo di garantire una maggiore tutela, nel settore privato, al lavoratore assunto attraverso le collaborazioni coordinate e continuative, spesso reiterate in luogo di un contratto a tempo indeterminato. L’obiettivo è, in altri termini, quello di contrastare l’utilizzo non corretto delle co.co.co. che, nella maggior parte dei casi, si rivelavano semplici maschere di rapporti di lavoro subordinato. Anche il contratto di lavoro a progetto, tuttavia, ha finito per essere stato, nella pratica, oggetto di un uso non corretto ed è per questo che è stato recentemente modificato dalla riforma Fornero, nonché, da ultimo, dal decreto occupazione del 2013.
Ai sensi dell’art. 61 del decreto n. 276/2003, per contratto di lavoro a progetto si intende una forma di collaborazione coordinata e continuativa svolta in modo prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione per la realizzazione di uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente.
A ben vedere, la natura e le caratteristiche del contratto di lavoro a progetto sono quelle delle collaborazioni coordinate e continuative con la differenza che esse, in tal caso, devono essere riconducibili ad un progetto.
3.2. La definizione di progetto.
La legge Biagi ha introdotto l’obbligo, per il committente, di indicare nel contratto uno specifico “progetto, programma di lavoro o fase di esso”. Tale indicazione, così come quella di altri elementi[9], deve avvenire per iscritto e la forma scritta è richiesta ai fini della prova.
A ben vedere, il legislatore del 2003 non ha specificato cosa debba intendersi per “progetto, programma di lavoro o fase di esso” e dottrina e giurisprudenza hanno cercato di colmare tale lacuna legislativa, dando luogo a interpretazioni così diverse da creare notevole confusione tra i datori di lavoro[10].
Di qui gli interventi del Ministero del lavoro volti a far chiarezza in ordine al significato da attribuire alle nozioni in commento.
La circolare n.1/2004, ad esempio, ha chiarito che il progetto deve consistere in un'attività produttiva ben determinata o comunque ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale cui il collaboratore partecipa direttamente con la sua prestazione. Il progetto, poi, secondo quanto indicato nel provvedimento ministeriale, può essere connesso all’attività principale o accessoria dell’impresa e le valutazioni e le scelte tecniche ad esso sottese sono insindacabili.
Sulla definizione di progetto è, da ultimo, intervenuta la legge Fornero che, nel modificare la disciplina previgente, elimina il riferimento al programma di lavoro e alle sue fasi e riconduce il co.co.pro. ad un “progetto specifico”. Al fine di rendere più determinato l’oggetto del contratto, il legislatore del 2012, inoltre, precisa che “il progetto deve essere funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale” e non può né “consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente” né “comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono esser individuati dai contratti collettivi (...)”.
Compiti meramente esecutivi e ripetitivi - si legge in una successiva circolare ministeriale[11] - sono da intendersi rispettivamente quelli svolti in assenza di qualsiasi autonomia da parte del collaboratore, realizzandosi nella mera attuazione degli ordini impartiti dal committente, e quelli la cui esecuzione non richiede alcuna indicazione da parte del committente, trattandosi di attività elementari dal punto di vista della loro natura e del loro contenuto. In tale ottica, nella suddetta circolare il Ministero del Lavoro propone ai propri ispettori, a titolo esemplificativo, un elenco di attività “difficilmente inquadrabili nell’ambito di un genuino rapporto di collaborazione”, come, tra gli altri, gli addetti alle pulizie, gli autisti, i baristi e i camerieri, i commessi e gli addetti alle vendite.
La riforma Fornero è intervenuta anche in ordine alle conseguenze derivanti dalla mancata indicazione di uno specifico progetto.
Al riguardo, la disciplina previgente, nel disporre che “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto” sono considerati “rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”, aveva determinato un acceso dibattito in dottrina e in giurisprudenza non essendo chiaro se la conversione della collaborazione priva di progetto in rapporto di lavoro subordinato dovesse considerarsi automatica, anche a prescindere dal concreto atteggiarsi del rapporto (presunzione relativa), oppure se la norma ponesse una presunzione relativa, quindi superabile dalla prova contraria[12].
Adesso la nuova formulazione dell’art. 69 del D. lgs n. 276/2003 sembra aver posto fine a tale diatriba. Il legislatore del 2012, infatti, nel sostituire “sono considerati” con “determina” opta per la presunzione assoluta come conferma l’art. 1, comma 24, della Legge n. 92/2012 che precisa che l’art. 69 del D.lgs n. 276/2003 è da interpretarsi “nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.
Presunzione relativa è, invece, quella prevista nel secondo comma dell’articolo in commento , che considera subordinati i rapporti di collaborazione a progetto la cui prestazione è svolta “con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell'impresa committente”. Ne deriva, secondo il Ministero del Lavoro[13], che il collaboratore può anche svolgere le stesse attività dei lavoratori dipendenti, purché le svolga con modalità organizzative radicalmente diverse, prive cioè dei presupposti della subordinazione.
3.3. Il corrispettivo.
Di rilievo sono altresì le novità introdotte in tema di compenso del collaboratore progetto.
A tale riguardo, il nuovo art. 63 del D.lgs 276/2003, dispone che esso - oltre ad essere proporzionato alla quantità e qualità dell’attività svolta (come già previsto nella disciplina previgente), deve essere fissato, per ciascun settore di attività, in base ai profili professionali tipici del settore e in ogni caso sulla base dei minimi salariali (i minimi tabellari, con esclusione delle altre voci retributive) per le mansioni comparabili svolte dai lavoratori dipendenti.
In assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non deve essere inferiore alle retribuzioni minime indicate dai contratti collettivi applicati alle figure professionali con competenza ed esperienza analoghe a quelle del lavoratore a progetto[14].
4. Le novità apportate dal D.L. n. 76/2013.
Con il D.L. lavoro n. 76/2013 approvato dal Governo Letta ed entrato in vigore il 28 giugno scorso, il co.co.pro. risulta ulteriormente modificato e rivisitato.
La prima modifica apportata dal decreto occupazione alla tipologia dei contratti in commento riguarda la sostituzione della congiunzione “o” con “e” riferita ai compiti meramente “esecutivi e ripetitivi”[15]. In sostanza, accogliendo un indirizzo già espresso in via amministrativa, i due requisiti non sono più disgiunti nel progetto ma debbono coesistere e possono essere individuati dalla contrattazione collettiva.
Un’altra modifica concerne la soppressione, all’interno dell’art. 62 che disciplina la forma e gli elementi che deve contenere il contratto a progetto, dell’inciso “ai fini della prova”[16], con la conseguenza che l’elencazione degli elementi che deve contenere il contratto diviene tassativa.
Ma le novità di maggior rilievo sono rappresentate dall’estensione anche ai lavoratori a progetto dell’obbligo di convalida delle dimissioni nonché della responsabilità solidale del committente negli appalti.
4.1. L’estensione anche ai lavoratori a progetto dell’obbligo di convalida delle dimissioni.
Il decreto occupazione n. 76/2013 estende anche al lavoratore co.co.pro. (oltre che agli associati in partecipazione) l’obbligo di convalida delle dimissioni dal lavoro introdotte dalla riforma del mercato del lavoro Fornero. Al fine di arginare il fenomeno delle c.d. dimissioni bianco, ossia la deprecabile pratica di far firmare al dipendente, all’atto dell’assunzione, un foglio di dimissioni senza data, in modo da utilizzarle nell’eventualità in cui, successivamente, il datore di lavoro voglia “liberarsi” del lavoratore senza tanti problemi e senza dover per forza ricorrere al pericoloso atto di licenziamento (puntualmente contestato in giudizio), la legge n. 92/2012, infatti, ha previsto l’obbligo di convalidare le dimissioni e le risoluzioni consensuali. In particolare, si prevede che la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza o dalla lavoratrice/lavoratore durante i primi 3 anni di vita del bambino o nei primi 3 anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, debba essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente territorialmente[17]. In caso di adozione internazionale - precisa il legislatore - i 3 anni decorrono dal momento della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando ovvero della comunicazione dell’invito a recarsi all’estero per ricevere la proposta di abbinamento. Da questa convalida dipende l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.
La riforma contenuta nel D.L. lavoro ha esteso tale procedura, anche nel caso di dimissioni o risoluzione consensuale di contratto di co.co.pro. o di associazione in partecipazione[18]. Ciò, in pratica, comporta che se il rapporto è anticipatamente risolto da parte del lavoratore prima del suo naturale termine (posto che entrambe le tipologie contrattuali sono per natura e per le legge a tempo determinato o “determinabile”), o per decisione consensuale di entrambe le parti, il recesso va convalidato: Diversamente esso è inefficace.
La procedura per ufficializzare e legittimare la risoluzione è la stessa prevista per i lavoratori dipendenti.
L’estensione della convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale riguarda anche il caso del rapporto della lavoratrice madre e del lavoratore padre, intervenute durante il periodo di gravidanza o entro i primi tre anni di età del bambino o di ingresso in famiglia del minore adottato o affidato.
Il decreto occupazione ha esteso ai lavoratori a progetto in caso di dimissioni dal lavoro in bianco anche il sistema sanzionatorio che si applica nei confronti dei datori di lavoro/committenti che praticano le dimissioni in bianco. Si applica, in particolare la maxi sanzione amministrativa che va dai 5mila a 30mila euro, oltre all’obbligo di convalida delle dimissioni dal lavoro intervenute durante il periodo di gravidanza o entro i tre anni di età del bambino, da parte delle Direzioni territoriali del lavoro. In tutti gli altri casi, la convalida delle dimissioni dal lavoro deve avvenire nei centri per l’impiego. Inoltre, si prevede che se il collaboratore, che intende interrompere anticipatamente il proprio contratto rispetto alla sua naturale scadenza, non la effettua, il committente dovrà rintracciarlo, entro 30 giorni dalla ricezione delle dimissioni, invitandolo all’adempimento nelle sedi indicate o con la sottoscrizione di una dichiarazione di “avallo”, in calce alla comunicazione telematica di cessazione del rapporto, altrimenti le dimissioni si considerano nulle. Il lavoratore può revocare le dimissioni nei sette giorni successivi alla ricezione dell’invito. Se il committente ha già trasmesso la comunicazione preventivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, ma questi dovesse poi cambiare idea e revocare il recesso, occorrerà annullare la trasmissione.
4.2. …e della responsabilità solidale negli appalti.
Come anticipato sopra, l’altra significativa novità introdotta del decreto 76/2013 in materia di riforma del lavoro è rappresentata dall’estensione anche ai lavoratori a progetto della responsabilità solidale del committente negli appalti. L’art. 9, comma I del decreto in esame, infatti, stabilisce espressamente che le disposizioni di cui all’art. 29, comma II della legge Biagi in tema di appalto si applicano “anche in relazione ai compensi e agli obblighi di natura previdenziale e assicurativa nei confronti dei lavoratori con contratto di lavoro autonomo”, mentre non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulato con le pubbliche amministrazioni”.
Il decreto lavoro, in sostanza, estende il regime della responsabilità solidale perché ricomprende anche i contratti a progetto, i vecchi co.co.co, le prestazioni di lavoro occasionale e le prestazioni d’opera professionale.
Tuttavia , queste disposizioni sulla responsabilità solidale - precisa il legislatore del 2013 - non trovano applicazione in tutte le ipotesi in cui il committente del contratto di appalto sia una pubblica amministrazione.
Infine, il decreto lavoro precisa che la facoltà riconosciuta ai contratti collettivi nazionali di lavoro di derogare al regime di solidarietà negli appalti può riguardare solamente i trattamenti retributivi, mentre alcun effetto può derivare in relazione ai contributi previdenziali e assicurativi.
(Altalex, 27 luglio 2013. Articolo di Elisa Cinini)
_________________
[1] Art. 1, commi 23-27, Legge n. 92/2012.
[2] Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa non ha mai avuto una sua specifica definizione legislativa. Fino all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 276 del 2003 l’espressione veniva utilizzata in tre distinte norme: l’articolo 2 della legge n. 241 del 1959, recante delega al Governo per la fissazione di minimi di trattamento anche per tali rapporti; l’articolo 409 del codice di procedura civile, introdotto con la legge n. 533 del 1973, che al n. 3 prevede l’applicazione delle norme in materia di controversie di lavoro anche a tali rapporti; ed, infine, la previsione dell’assimilazione ai redditi di lavoro dipendente in materia tributaria, stabilita dall’articolo 50, comma 1, lettera c) bis TUIR.
[3] Sulla distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato v., cfr., Cass. n. 9812 del 14 aprile 2008, in cui è stato espressamente affermato che l'elemento decisivo per contraddistinguere il rapporto di lavoro subordinato dal lavoro autonomo è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro. Ulteriori indici di subordinazione, che potranno essere presi in considerazione dal giudice di merito, possono essere l'assenza del rischio d'impresa, la continuità della prestazione, l'obbligo di osservare un orario di lavoro, la cadenza e la forma della retribuzione, l'utilizzazione di strumenti di lavoro e lo svolgimento della prestazione in ambienti messi a disposizione dal datore di lavoro.
[4] Così Cass. n. 6319 del 17/7/1987.
[5] Cfr., Sandulli P., In tema di collaborazione autonoma continuativa e coordinata, in Dir. lav., I, 1982, p. 247.
[6] Cfr. Cass n. 5698 del 19 aprile 2002.
[7] Art. 61, III comma, D.lgs n. 276/2003. La circostanza che le collaborazioni coordinate e continuative trovano applicazione per i soggetti adesso menzionati è confermato, del resto, anche dalla circolare del Ministero del lavoro n. 1/2004. Tale provvedimento, peraltro, giustifica tali esclusioni evidenziando che la disciplina di cui all’art. 61 è finalizzata ad impedire l’utilizzo improprio o fraudolento delle collaborazioni coordinate e continuative, per cui ben possono collocarsi al di fuori del campo di applicazione dell’art. 61 tutte quelle fattispecie che non presentano significativi rischi di elusione della normativa inderogabile del diritto del lavoro.
[8] Art. 61; II comma, D. lgs n. 276/2003.
[9] Art. 62 Forma.
1. Il contratto di lavoro a progetto e' stipulato in forma scritta e deve contenere, ai fini della prova, i seguenti elementi:
a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro;
b) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto;
c) il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché' i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese;
d) le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l'autonomia nella esecuzione dell'obbligazione lavorativa;
e) le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall'articolo 66, comma 4.
[10] Per averne un’idea delle diverse letture che la dottrina ha dato alla nozione di progetto è interessante la sentenza del Tribunale di Genova del 7.4.2006 che ha fatto una sintesi di tali interpretazioni. Per quanto concerne, invece, gli orientamenti giurisprudenziali sul punto v., cfr., Tribunale di Milano 2/8/2006 e Tribunale di Genova 7/4/2006.
[11] Circolare ministeriale n. 29/2012.
[12] In dottrina sembrava preferire quest’ultima soluzione, cfr., Santoro Passarelli G., Lavoro parasubordinato, lavoro coordinato, lavoro a progetto, in De Luca Tamajo R.– Rusciano M – Zoppoli L., Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema. Dalla legge 14 febbraio 2003 n. 30 al decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276, Napoli, Esi, 2004, pp. 187 ss. e, in particolare, p. 203. Quanto alla giurisprudenza., cfr., Corte app. Firenze 26/1/2010. Anche il Ministero del lavoro, con la circolare n. 1/2004, ha abbracciato la tesi della presunzione relativa affermando che la presunzione di cui all’art. 69, c. 1, può essere superata qualora il committente fornisca, in giudizio, prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro effettivamente autonomo. Propendono, invece, per la tesi della presunzione assoluta cfr., Trib. Milano 2/8/2006 e Trib. Milano 5/2/2007.
[13] Circolare ministeriale n. 29/2012.
[14] Art. 63, II comma, D. lgs n. 276/2003.
[15] Art. 7, II comma, lettera c), D.L. n. 76/2013.
[16] Art. 7, II comma, lettera. d), D.L. n. 76/2013.
[17] Art. 4, commi 16-23, Legge n. 92/2012.
[18] Con l’art. 7 comma 5 lett. d) del D.L. n. 76/2013, si aggiunge all’art. 4 della legge 92/2012 il comma 23 bis secondo il quale le disposizioni di cui ai commi da 16 a 23 (inerenti alla convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale, anche durante il periodo di gravidanza e durante i primi tre anni di vita del bambino anche adottato o in affidamento) trovano applicazione, in quanto compatibili, anche alle lavoratrici e ai lavoratori impegnati con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, di cui all’articolo 61, comma 1, del D. Lgs. n. 276/2003 e con contratti di associazione in partecipazione di cui all’articolo 2549, secondo comma, del codice civile.
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